12 novembre 2024 – 17 gennaio 2025
EDMONDO BACCI
E LO SPAZIALISMO VENEZIANO
Edmondo Bacci
e lo spazialismo veneziano
12 novembre 2024 – 17 gennaio 2025
“Occorreva superare l’Astrattismo, per i limiti in esso impliciti di decorativismo ormai inutile e stanco; i vari modi del Naturalismo, eternamente vincolante all’imitazione ed alla sfiatata passionalità romantica e bisognava ancora vincere le poetiche, le regole come tali, si chiamassero cubismo o futurismo, astrattismo o neoplasticismo: la libera fantasia doveva sposare la contemporaneità, senza mortificazioni e pregiudizi”
(Anton Giulio Ambrosini, Lo spazialismo e la pittura italiana del secolo XX, 1953).
La Galleria Gracis è lieta di presentare, in collaborazione con la Galleria Reve Art di Bologna, “Edmondo Bacci e lo spazialismo veneziano”. In mostra circa 30 opere di Edmondo Bacci, Mario Deluigi, Ennio Finzi, Virgilio Guidi, Gino Morandis, Luciano Gaspari, Bruna Gasparini, Saverio Rampin e Vinicio Vianello, alcune delle quali provenienti da prestigiose collezioni private veneziane.
Il movimento spazialista, che vede la sua nascita con il Manifiesto Blanco (Argentina – 1946) di Lucio Fontana, trova nel Veneto terreno fertile di diffusione, come contestazione alla resistenza alla contemporaneità di Venezia. Il Manifiesto delinea le urgenze degli artisti del primo Dopoguerra, che intendono superare i principi che avevano guidato il fare artistico prima della grande rottura causata dagli eventi bellici, inserendo le dimensioni di tempo e spazio nell’opera d’arte.
L’artista spaziale guarda oltre la dimensione del visibile, volge lo sguardo verso l’altrove, scruta lo spazio e contempla il valore assoluto della luce e di ciò che costituisce a livello molecolare e particellare ciò che ci circonda, ma ci è invisibile. Le scoperte scientifiche, la fisica nucleare sono stati per gli artisti motivi di impulsi e sollecitazioni. Essi intendono acquisire nelle opere una nuova realtà fino ad allora sconosciuta, l’idea di uno spazio tangibile, resa concreta grazie alle nuove tecnologie ed esplorazioni spaziali. Nel 1947, al suo ritorno a Milano, Fontana continua con la redazione dei successivi manifesti ad ampliare le istanze del movimento, ovvero adeguare il linguaggio artistico alle conquiste del progresso scientifico, processo che in lui culminerà con la fuoriuscita dell’opera dai contorni della tela bidimensionale.
Al consolidamento dell’asse Milano-Venezia contribuisce in maniera significativa in quegli anni il gallerista Carlo Cardazzo, che nel capoluogo lombardo con la Galleria del Naviglio, e in quello veneto con la Galleria del Cavallino, diviene centro di diffusione del pensiero spaziale. Altre figure di connessione tra le due città sono Vinicio Vianello, che dal 1946 frequenta assiduamente il capoluogo meneghino, e Mario Deluigi, che nel marzo 1947 inaugura la sua personale alla Galleria del Naviglio, dove entra in contatto con Anton Giulio Ambrosini.
A Venezia lo spazialismo diviene un luogo collettivo ove maturare ricerche precedenti, far dialogare differenti generazioni di artisti e risolvere la diatriba tra arte figurativa e arte astratta.
“Considerare realtà quegli spazi, quella visione della materia universale, di cui scienza, filosofia, arte, in sede di conoscenza e di intuizione hanno nutrito lo spirito dell’uomo”: così recita il Manifesto del 1951 dove compaiono per la prima volta le firme dei “veneziani” Anton Giulio Ambrosini, Mario Deluigi, Virgilio Guidi, Berto Morucchio e Vinicio Vianello.
Due anni dopo, in occasione della mostra Spaziale alla Sala degli specchi di Ca’ Giustinian, Anton Giulio Ambrosini pubblica Lo spazialismo e la pittura italiana del XX secolo, al quale si associano Edmondo Bacci, Bruno De Toffoli, Tancredi, e Gino Morandis.
Gli artisti veneziani presentano un approccio molto diverso dai milanesi, in un’esperienza che seppur attenta agli aspetti più futuristici della realtà scientifica e tecnologica, ribadisce piuttosto la libertà immaginativa individuale. Tale libertà si tradurrà anche in inclusività, tratto distintivo che permetterà a molti artisti di prendere parte alle esperienze spaziali pur non firmandone i manifesti. Questo è il caso di Ennio Finzi, Bruna Gasparini, Luciano Gaspari e Saverio Rampin, i cui i lavori in mostra risultano assolutamente aderenti agli enunciati spaziali.
Il rapporto che il movimento veneziano ha con Fontana risulta “intimamente dialettico”, per usare le parole di Crispolti, ma mentre Fontana travalica la dimensione pittorica per andare oltre lo spazio della tela, gli artisti veneziani vi restano fedeli, prediligendo l’utilizzo della materia pittorica. Per Bacci l’adesione allo spazialismo si concilia con il primo tentativo di astrazione delle Fabbriche e dei Cantieri, opere che suggeriscono la sensibilità dell’autore alle tematiche sociali e, parallelamente, divengono pretesto per portare avanti il discorso sull’astrazione. Dal 1954 la pittura di Bacci muterà, più attenta alla restituzione dell’atmosfera: il colore si espande nella luce, il passaggio all’astrazione è completo e assume una forza esplosiva e detonante.
La cessazione dello spazialismo si attesta intorno alla fine del 1958, ma a quella data la compagine veneziana risulta ancora assai vitale, compatta e coerente intorno all’idea di una spazialità dell’immagine quale luogo di relazione e di continue metamorfosi della visione.
Gli Artisti in mostra
Edmondo Bacci (Venezia, 21 luglio 1913 – Venezia, 16 ottobre 1978)
Dal 1932 al 1937 studia all’Accademia di Belle Arti di Venezia, con Ettore Tito e Virgilio Guidi. Nel 1945 tiene la prima personale alla Galleria del Cavallino e, tre anni più tardi, partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia. Alla fine degli anni ’40 l’industriale paesaggio di Marghera entra nelle sue composizioni: le Fabbriche segnano il passaggio tra il figurativo e l’astrazione. Le luci e il fuoco degli altiforni danno il via alle sue sperimentazioni sulla luce, la cui estremizzazione porterà alle detonazioni degli Avvenimenti. Essi segnano la possibilità di una diversa distribuzione del colore nello spazio, con la completa deflagrazione delle forme. Nel 1953 a Venezia partecipa alla mostra del Movimento spaziale e da allora prende parte con regolarità alle esposizioni dello Spazialismo. Viene notato in questi anni dalla collezionista Peggy Guggenheim, che diventa sua mecenate e promotrice anche oltre oceano dove, nel 1955, terrà la prima personale alla Seventy-Five Gallery di New York. Nel 1958 gli viene dedicata una sala alla Biennale di Venezia a cui seguiranno numerose esposizioni internazionali. Dal 1974 occupa la cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia, che terrà sino al 1978, anno della sua scomparsa.
Mario Deluigi (Treviso, 21 giugno 1901 – Dolo, 27 maggio 1978)
Si forma all’Accademia di Belle Arti di Venezia seguendo gli insegnamenti di Ettore Tito e Virgilio Guidi. Nel 1930 espone per la prima volta alla Biennale di Venezia e, dal 1942 al 1944, sarà assistente di Arturo Martini all’Accademia di Belle Arti.
Nel 1944 tiene la sua prima personale alla galleria del Cavallino a cui seguirà, nel 1947, quella alla Galleria del Naviglio di Milano. Nel 1946 insieme a Carlo Scarpa e Anton Giulio Ambrosini fonda la Scuola Libera di Arti Plastiche, e nello stesso anno è chiamato ad insegnare scenografia presso l’istituto Universitario di Architettura di Venezia. Nel 1951 firma con Guidi e Vianello a Milano il Manifesto dell’arte spaziale, e quindi il Manifesto del movimento spaziale per la televisione (1952).
La sua adesione allo spazialismo coincide con il ciclo degli Amori, che espone alla Biennale del 1952, “un canto d’amore alla pittura” come lui stesso li definisce. Nel 1951-1952, nella continua ricerca di libertà espressiva matura una riflessione sulla fisicità dello spazio legato al colore e alla luce. Tra il 1948 e il 1950 vede le opere di Pollock da Cardazzo e al Museo Correr ed estremizza la ricerca di nuove soluzioni tecniche e pittoriche. Nascono così i grattage con i Motivi sui vuoti, che presenterà alla Biennale di Venezia del 1954. La luce è concepita come un valore strutturale, essa non viene dipinta ma creata tramite l’abrasione della materia/superficie pittorica. Nel corso degli anni Sessanta e Settanta Deluigi prosegue la sua ricerca sulla luce. Partecipa a manifestazioni artistiche nazionali e internazionali, tra cui le Biennali di Venezia del 1930, 1932, 1948, 1950, 1952, 1954, 1962 (sala personale), 1968 (sala personale) e le Quadriennali di Roma del 1959, 1972.
Ennio Finzi (Venezia, 1931-2024)
Si forma all’Accademia di Belle Arti di Venezia dal 1949 con Armando Pizzinato e, parallelamente, si iscrive al conservatorio. Inizia nello stesso periodo a frequentare le iniziative musicali della Biennale Musica e i concerti alla Fenice, dove ha modo di conoscere il compositore Bruno Maderna che lo introduce alle nuove tendenze della musica contemporanea. La conoscenza delle avanguardie storiche è evidente nelle prime opere esposte nelle collettive della Fondazione Bevilacqua la Masa tra il 1948 e il 1950. Il passaggio della sua pittura verso le forme astratte è favorito dalla frequentazione con Emilio Vedova e Tancredi. Nella sua astrazione è rintracciabile l’interesse per la musica contemporanea, tra cui le elaborazioni di Luigi Nono e Bruno Moderna. Nel lavoro degli anni ’50 Finzi ricerca, infatti, la “dissonanza” nella forma e nel colore. I colori acidi, le luci al neon delle pubblicità moderne divengono le basi per l’analisi timbrico-luministiche dell’artista.
Nell’aprile del 1956 viene inserito da Carlo Cardazzo al Cavallino in una mostra in cui sono presenti i firmatari veneziani del movimento spaziale: Deluigi, Bacci, Morandi, Tancredi e De Toffoli, a cui si aggiungono Rampin, Matta e Capogrossi e, nello stesso anno, in quella dedicata allo Spazialismo nel mondo. Finzi dimostra però di non volere essere costretto in nessuna rigida definizione, e negli anni darà esempio di un eclettismo totale, con una sperimentazione a tutto campo sul ritmo e sul colore che porterà avanti per tutta la sua carriera. Negli anni ‘60 si avvicina alle teorie della percezione, ai principi dell’Optical Art e della suggestione ottica; il quadro diviene la lucida e rigorosa proiezione di due forze, luce e colore. Ha partecipato nel 1959 e nel 1999 alla VIII e XIII Quadriennale di Roma e nel 1986 alla XLII Biennale d’Arte di Venezia.
Virgilio Guidi (Roma, 4 aprile 1891 – Venezia, 7 gennaio 1984)
Pittore e scultore italiano, noto per la sua esplorazione della luce e dello spazio nelle arti visive. Originario di Roma, ma attivo prevalentemente a Venezia, Guidi si è formato nell’ambiente accademico, iniziando con uno stile figurativo tradizionale, che evolve progressivamente verso forme più astratte e personali.
Negli anni ’50, Guidi entra in contatto con il movimento Spazialista con il quale condivideva la volontà di indagare lo spazio e la luce non solo come soggetti pittorici, ma come elementi fisici e dinamici. In questo periodo, le sue opere si concentrano su una sintesi di figura e spazio, dove la luce diventa il vero protagonista, creando una tensione tra il visibile e l’invisibile, tra il materiale e l’immateriale.
Dalla fine degli anni ’40 nascono cicli di opere di grande sintesi spaziale come le marine con la grata, ove l’oggetto del dipinto quasi sparisce sotto la luce arrivando all’astrazione, i cieli antichi e i giudizi, dove lo spazio assume connotazioni emozionali e simboliche.
Gino Morandis (Venezia, 1915-1994)
Si forma all’Accademia di Belle Arti di Venezia sotto la guida di Virgilio Guidi, seguendolo, insieme a Luciano Gaspari, all’Accademia di Bologna nel 1935.
A Bologna ha modo di frequentare anche le lezioni di Giorgio Morandi, arricchendo così gli insegnamenti di Guidi sulla luce. Le prime esperienze pittoriche risentono degli insegnamenti dei due maestri e dell’influenza dell’opera di Georges Braque, traducendosi in raffinate e delicate composizioni naturalistiche. Espone alla II Quadriennale di Roma del 1935; ma nel 1938 è costretto a interrompere la sua attività espositiva per la chiamata alle armi fino al 1943, anno in cui tornerà a Bologna come assistente di Guidi all’Accademia.
Alla fine degli anni Quaranta Morandis risente del particolare clima culturale della città, che segna il delinearsi delle due tendenze in opposizione, realismo/astrattismo, verso cui orienta il suo lavoro. Nel 1948 espone alla prima edizione della Biennale di Venezia del Dopoguerra, e all’anno seguente si ascrive la mostra personale alla Galleria dello Scorpione a Trieste. Negli anni ’50 si avvicina agli Spazialisti, e compare nel manifesto del 1953.
Di ambito spaziale però già le opere del 1949-50, solitamente denominate Composizione e numerate progressivamente. L’opera di Morandis si contraddistingue fin da subito per la dialettica tra i piani cromatici, ove il colore sfumato si espande nello spazio con afflato atmosferico.
Nel 1954-57 l’idea di nucleo si concretizza, raffigurando masse materiche disposte circolarmente, alla ricerca di un senso primitivo nella materia. Questo aspetto acquisterà grande importanza nella ricerca espressiva sullo spazio-colore degli anni successivi che vedranno l’artista operare con colori matericamente energici e raffinate dissolvenze. Partecipa a numerose e importanti manifestazioni artistiche nazionali e internazionali tra cui si ricordano le sue partecipazioni alle Biennali di Venezia nel 1936, 1948, 1950, 1952, 1954, 1956, 1958, 1962, e 1968 con una sala personale.
Luciano Gaspari (Venezia, 1913 – 2007)
Si forma all’Accademia di Belle Arti di Venezia con Virgilio Guidi e segue un percorso indipendente dagli artisti spaziali, a cui si avvicinerà grazie al sodalizio con Bacci e Morandis, sebbene non firmerà nessun manifesto. Muove però da posizioni pittoriche più tradizionali, subendo l’influenza di Picasso. Nel 1943 sposa l’artista Bruna Gasparini e tiene la prima mostra alla Galleria Il Milione di Milano con Armando Pizzinato.
Dagli anni ‘50 la pittura si volge verso le linee astratte dell’informale, assumendo corpo materico e cromie brune e profonde, percorse da squarci di luce che penetrano una materia primordiale. Tra fine anni ‘50 e inizio ‘60 la pittura si fa più preziosa, nel ciclo delle stagioni e nelle germinazioni. Gaspari opera anche con il vetro e collabora a lungo con le Vetrerie Salviati, dove è direttore artistico dal 1955 al 1968. Oltre a numerosissime personali nelle più prestigiose Galleria italiane ed europee, Gaspari ha preso parte a 5 edizioni della Quadriennale di Roma (1936, 1947, 1951, 1959, 1973) e a 11 edizioni della Biennale di Venezia (1936, 1938, 1940, 1948, 1952, 1956, 1958, 1966, 1962, 1968, 1995).
Bruna Gasparini (Mantova, 1913 – Venezia 1998)
Si trasferisce fin da giovane a Venezia dove coltiva le sue passioni per la pittura, la musica e la poesia. Si forma da autodidatta seguendo i suggerimenti di Virgilio Guidi e di Arturo Martini e nel 1940 espone alla Biennale di Venezia con un’opera ancora di carattere figurativo. Vi esporrà nuovamente nel 1948, nel 1950, e nel 1964, con una sala personale allestita da Carlo Scarpa. Partecipa anche alle Quadriennali di Roma del 1948 e del 1955.
Gli anni Quaranta si sviluppano nell’orbita di un’analisi cubista, memore dell’essenza cromatica di Braque. Gli anni Cinquanta sono il momento in cui l’artista definisce il suo personale linguaggio espressivo: si avvicina all’astrattismo e partecipa, grazie alla fraterna amicizia con Morandis, Bacci e Tancredi, agli avvenimenti e alle esperienze spaziali, pur mantenendo un ruolo assai riservato. Come il marito Luciano Gaspari frequenta il gruppo senza, però, aderire apertamente al movimento. Quando si presenta con la prima personale nel 1955 alla Bevilacqua La Masa di Venezia è evidente la profonda indagine sulle problematiche riguardanti lo spazio, la luce, il segno e il colore. L’interesse per la musica sembra guidare le sue composizioni degli anni ’50, e nel 1955 esporrà alla Bevilacqua la Masa Ritmi, Sonorità, Armonia, dove il segno si espande in un campo quasi totalmente monocromatico. La sovrapposizione segnica di questi lavori lascia via via spazio al naturale espandersi del colore e della luce. Due ricerche, individuate dal Professor Barbero, distinguono il periodo spaziale dell’artista: una dedicata al suono della luce e ai colori accesi, la seconda legata alle cromie cupe, appena illuminate. Le opere dedicate alla “Terra” sono così rivelatrici di una natura crepuscolare e lunare. Queste filone in libero dialogo con il buio contraddistingue la sua produzione degli anni ’60. Negli anni ’70 un viaggio in Sicilia la porta ad incontrare una nuova luce, estrema: nei Desideri di Mare e nelle Giudecche lo spazio si articola in campi cromatici trasparenti. Nel 1996 la Casa del Mantegna inaugura una personale, con opere dal 1955 al 1995, introdotta in catalogo da Luca Massimo Barbero il cui catalogo è ad oggi l’unico valido strumento per conoscere il lavoro di questa artista straordinaria.
Saverio Rampin (Stra, 14 dicembre 1930 – Venezia, gennaio 1992)
Rampin si forma tra il 1948 e il 1949 sotto la guida di Armando Pizzinato. Nel 1950 partecipò alla XXV Biennale di Venezia esponendo l’opera Scuola di Pittura,] e all’anno seguente risale la prima mostra personale, presentata da Pizzinato alla Galleria Sandri di Venezia. Entra in contatto con gli spazialisti per tramite della Galleria del Cavallino, e diventano per lui frequentazioni assidue sebbene, come Gaspari e Gasparini, non firmerà mai nessun manifesto. La sua arte di matrice astratta si connota per un’importante sintesi formale dalla forte carica espressiva. Le sue forme esprimono l’interesse per il mondo naturale e per la forza generatrice della natura, il suo crescere dando vita a nuove creature e dinamiche. A partire dal 1953-55 le cromie accese e una certa forza e potenza del segno, che diviene anche rappresentazione emotiva ed esistenziale di un mondo naturale gestualmente riportato sulla tela con una pittura materica, lo accostano alla pittura di azione d’oltreoceano.
Vinicio Vianello (Venezia, 1923-1999)
Si forma all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove si diploma nel 1945. Negli anni successivi si trasferisce per brevi periodi a Milano e frequenta Albini e gli architetti dello studio BBPR, qui entra in contatto con il movimento spaziale appena fondato da Fontana, di cui riconosce le possibilità espressive. Rispetto agli altri artisti spaziali rimane inizialmente tradizionalmente pittorico, e sviluppa parallelamente un filone astratto, isolando un nucleo figurale al centro dello spazio compositivo. Emerge così l’interesse per la rappresentazione di un cosmo naturale che dalla veduta di veneziana ascendenza, passa all’avvenimento astronomico e nucleare. Simultaneità di forma e colore in una circolarità di origine cosmica, sono i dati evidenziati dal Professor Luca Massimo Barbero come caratterizzanti del linguaggio spaziale di Vianello, unitamente alle linee che si dipanano nello spazio e all’esplosione nucleare. Così tra il 1950 e il 1951 nascono le grafie spaziali, arabeschi di linee su fogli bianchi.
Le composizioni spaziali, che sperimenta dal 1950, saranno esposte per la prima volta nel 1953 a Ca’ Giustiniani. Vianello fa dello spazialismo pretesto per indagare la tecnica della pittura, per superare gli strumenti già noti, sperimentando l’uso di vernici fluorescenti e spruzzatori di sua invenzione per la realizzazione dei Rockets. Tali opere configurano un avvenimento cosmico, al quale l’artista accosta un segno quale unica traccia dell’agire umano.
L’influenza dello spazialismo si riflette anche nel suo approccio multidisciplinare, non limitando la sua attività solo alla pittura, ma sperimentando con materiali innovativi, come il vetro e il neon, creando opere che integrano luce e spazio fisico. Tra i tanti riconoscimenti che otterrà nell’arco della sua carriera figura anche il Premio La Rinascente Compasso d’Oro nel 1957 per la realizzazione di un vaso in vetro.
Edmondo Bacci e lo spazialismo veneziano
12 novembre 2024 – 17 gennaio 2025
Opening: martedì 12 novembre dalle ore 18
Orari Galleria Gracis: lunedì-venerdì, 10.00-13.00 | 14.00-18.00 sabato su appuntamento
Ingresso libero T +39 02 877 807; gracis@gracis.com